Mostra Personale
Bergamo - Camera del Lavoro - Via Garibaldi, 3
19 settembre - 27 ottobre 2006
A partire dall’invenzione della fotografia si è spesso creata una dialettica–opposizione tra la fotografia, appunto “la
pittura della luce”, e la tradizionale pittura dei colori. I critici della possibile dimensione estetica della fotografia, oggi in minoranza, sostengono che essa non può essere arte
perché le manca la manualità e la materia implicita in un’opera di pittura e scultura.
Ciro Indellicati appartiene alla schiera di artisti che non pongono confini alla creatività utilizzando tecniche apparentemente lontane tra di loro, ma che nella sua opera si integrano
organicamente fino a raggiungere un equilibrio e una sintesi del tutto naturale. Partendo da un immagine fotografica di un frammento di realtà egli interviene sulla pellicola o sulla
diapositiva con graffi che incidendo la superficie della pellicola ne mostrano una dimensione grafica oppure con stesure di colore che esaltano l’intensità cromatica della pellicola
stessa. La successiva fotografia della pellicola così rielaborata ritrae la nuova realtà così ottenuta come sintesi di frammento analogico (il profilo di un albero, il fogliame autunnale
di un bosco, il blu dell’acqua marina) e di stati emozionali derivati dall’osservazione della natura stessa. E’ la più antica fonte di ispirazione, la natura, che suggerisce da sempre a
chi sa guardare i ritmi della vita: i profili delle foglie, il mulinare del vento, lo sfumare dei colori del tramonto. In questo continuo trascorrere dal figurativo all’astratto,
dall’immagine fotografica al segno, dal colore fotografico al pigmento si superano tutti i limiti artificiali tra astrazione e figurazione, che ancora creano discussioni nel pubblico dei
tradizionalisti.
L’opera di Ciro Indellicati è anche un caso, non frequente nell’arte contemporanea, di naturalismo lirico dove colpisce la ricerca della bellezza, dove colore e segno non sono
l’espressione dell’ennesimo dramma esistenziale dell’uomo moderno, ma la ricerca di una sintesi estetica in cui si percepisce un sorta di fiducia positiva dell’operatività umana applicata
alla natura.
“La mia ricerca fotografica” dice Ciro
Indelicati, “nasce dall’esigenza di trovare nel reale una sorta di autonomia estetica, che si volga alle cose non già in una relazione di somiglianza, ma in una
relazione di “espressività”.
La fotografia come scrittura, che induce chi guarda ad interrogarsi: si può ricomporre un mosaico fatto di molti tasselli di realtà diverse, rivisti, rielaborati, fatti propri, ma mai
questi brandelli saranno “la realtà”.
Nei ricordi, nel cinema, in un quadro o nelle fotografie vivono tanti pezzi di esistenza, istanti, emozioni, come schegge di uno specchio frantumato. E’ così che il “reale” rappresentato
in queste foto diventa qualcos’altro, cambia valore, si trasforma, diviene oggetto d’interpretazione, assume vita propria.
Ma, come dice Barthes, “le fotografie se private d’un principio di marcatura” rischiano di “andare a male”. Da qui nasce l’esigenza
dell’intervento diretto, della pittura, lo shock del graffio. Il fotogramma si fa così materia, diventa oggetto di contaminazione tra linguaggi diversi, la “foto-grafia” non basta a se
stessa, non basta più: c’è bisogno del segno, del graffio, del colore in più, oltre l’immagine tra l’obiettivo e l’occhio.
La traccia, segno minimo lasciato direttamente sulla pellicola, assume così una nuova valenza (il lavoro del fotografo e quello del pittore coincidono).
Il “segno” assume una vita propria, cambia valore, si trasfigura, diviene oggetto d’interpretazione. Queste immagini divengono tessere di un puzzle che sarà ricomposto da altri:
diventeranno “comunicazioni visuali” trasformate dalla sensibilità, dalla cultura, dal gusto di quanti vorranno “leggerle”, trovare in esse significati”.
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